Un amico tradito: comincia la mattanza dei colombi a Torino

C’è una storia che pochi conoscono, una storia che ci riguarda tutti: quella del piccione, o Columba livia, come lo chiamano i biologi. Questo uccello, che oggi vediamo comunemente svolazzare nelle nostre piazze e sui balconi delle città, ha una lunga storia di amicizia con l’uomo.

Il piccione, infatti, ha aiutato l’uomo per secoli. Addomesticato circa 3 mila anni fa in Medio Oriente (Palestina) e utilizzato come messaggero durante le guerre, nelle competizioni sportive, e persino per salvare vite umane, il piccione ha servito l’umanità con lealtà e dedizione.

Nella Prima e Seconda Guerra Mondiale in particolare, piccioni addestrati salvarono vite umane, consegnando messaggi vitali per le operazioni militari. Celebri sono le storie di piccioni decorati per il loro coraggio, come Cher Ami, un piccione eroe che salvò un battaglione americano nel 1918 .

I piccioni sono animali altamente sociali e fedeli al proprio partner. Una volta formata una coppia, restano insieme per tutta la vita. Non solo, ma scelgono con cura il proprio nido e tendono a tornare sempre nello stesso luogo, perché quel posto rappresenta sicurezza e stabilità.

Per chi pensa che siano solo animali senza sentimenti, sappiate che sono animali che soffrono, che provano gioia quando vedono il loro compagno tornare al nido e tristezza quando non lo trovano. Sono uccelli che conoscono l’amicizia e l’amore, proprio come noi esseri umani.

Non solo sono fedeli al loro partner, ma lo sono anche al loro nido. Una volta scelto un luogo per la nidificazione, i piccioni tendono a tornare lì anno dopo anno, perché quel luogo rappresenta sicurezza e stabilità.

Si tratta di animali che cercano conforto nella familiarità, provando emozioni simili a quelle che conosciamo noi umani.

Purtroppo, nonostante questi legami profondi e la lunga storia di collaborazione con l’uomo, i piccioni sono stati traditi. Dopo aver servito per secoli come messaggeri e alleati, oggi vengono spesso trattati come parassiti delle città.

Questa percezione distorta ha portato a politiche di controllo cruenti e disumane.

La delibera approvata dalla Città Metropolitana di Torino per il controllo della popolazione dei piccioni, che prevede il loro abbattimento in massa, rappresenta il culmine di questo tradimento.

Un provvedimento che non considera i legami che abbiamo condiviso con questi uccelli, né la sofferenza che provocherà loro.

Il tradimento di un amico: il piano di abbattimento dei piccioni a Torino

Il Piano di Controllo del Colombo 2024-2029, approvato dalla Città Metropolitana di Torino, stabilisce metodi brutali per la gestione della popolazione dei piccioni.

Tra le tecniche proposte ci sono l’utilizzo di gabbie trappola, che catturano gli uccelli per poi sopprimerli, e metodi di abbattimento cruenti che infliggeranno sofferenze indicibili a questi animali.

Si parla di un problema igienico-sanitario e di danni agli edifici storici, ma si sceglie una soluzione violenta e disumana, ignorando completamente il diritto alla vita di questi uccelli.

Il piano, sostenuto dalla Giunta, è stato giustificato come necessario per ridurre la presenza di piccioni in aree critiche della città.

Eppure, non si può fare a meno di chiedersi: perché si è fatto così poco prima di arrivare ad una soluzione così cruenta? È possibile che questo piano sia una risposta alla mancanza di visione a lungo termine nella gestione della fauna urbana?

La delusione politica: tutti d’accordo per il massacro

Quello che desta ancora più sconcerto è il consenso politico trasversale che ha accompagnato questa decisione. Nessun partito si è opposto con forza alla delibera.

Si potrebbe pensare che, almeno in una città come Torino, che si fregia di essere attenta al benessere animale, ci sarebbe stata una forte resistenza.

Ma purtroppo, sembra che la via più facile e immediata sia stata quella di rimuovere il “problema” con una traslocazione cervicale (uno dei metodi “eutanasici” scelti per la soppressione dei colombi) , anziché cercare soluzioni più lungimiranti e compassionevoli.

Nessuno si è davvero messo nei panni dei piccioni o ha ascoltato le numerose proposte alternative che le associazioni animaliste hanno avanzato.

Meglio uccidere che trovare soluzioni etiche e sostenibili. Ancora una volta, il silenzio della politica parla di una mancanza di empatia, di un’incapacità di vedere oltre le soluzioni temporanee.

La delibera che strizza l’occhio ai “selecontrollori

Nella sezione dedicata alle aree extraurbane, la delibera per il controllo dei piccioni si addentra in un territorio particolarmente inquietante: la soppressione tramite colpi di fucile.

Secondo il piano di controllo per il periodo 2024-2029, nelle campagne e nelle zone rurali della città metropolitana di Torino, oltre alle gabbie trappola, si autorizza l’uso del fucile per abbattere i colombi.

Questo passaggio non fa altro che strizzare l’occhio ai cacciatori o per meglio dire ai “selecontrollori formati ed autorizzati, che saranno ben felici di poter sparare legalmente a un’altra specie.

Un modo per mascherare la caccia sotto il velo della “gestione faunistica”.

I selecontrollori venatori troveranno nella delibera una scappatoia legale per esercitare la loro passione in nome del controllo delle specie, purtroppo senza tenere conto del fatto che la sofferenza degli animali rimane la medesima, e che si promuove ancora una volta l’eliminazione violenta come unica soluzione.

Se da una parte l’amministrazione cerca di giustificare queste scelte come necessarie per il benessere pubblico, dall’altra ci si domanda: è davvero questa l’unica strada percorribile?

Non si poteva fare diversamente? Di sicuro i cacciatori ne saranno felici (qui il nostro articolo sulla Caccia), ma noi dobbiamo chiederci: questo è il futuro che vogliamo per il nostro territorio?

Alternative non cruente e poco considerate

Eppure, le alternative esistono e sono state suggerite da più parti, inclusa la sezione di Torino del Partito Animalista Italiano (PAI). In diverse città del mondo, soluzioni etiche ed efficaci per il controllo della popolazione dei piccioni sono state adottate con successo.

Ecco alcune delle proposte etiche che Torino avrebbe potuto prendere in considerazione:

  1. Controllo delle nascite: l’uso di mangimi anticoncezionali per ridurre la capacità riproduttiva dei piccioni. Questa tecnica è già stata sperimentata con successo in città come Barcellona e Venezia, dove ha dimostrato di essere efficace nel contenere la popolazione senza causare sofferenza agli animali.
  2. Nidificazione controllata: creare spazi specifici per la nidificazione, in cui è possibile monitorare la popolazione e rimuovere le uova in eccesso in modo controllato. In questo modo, la crescita demografica dei piccioni può essere gestita senza la necessità di abbattimenti.
  3. Dissuasori non letali: sistemi come reti o ultrasuoni sono già utilizzati in molte città per impedire ai piccioni di accedere a determinate aree senza arrecare loro danno. Questi strumenti offrono una soluzione pratica e compassionevole, e potrebbero essere facilmente implementati anche a Torino.
  4. Infine, l’educazione pubblica gioca un ruolo cruciale nella gestione della popolazione dei piccioni. Molto spesso, i piccioni sono incoraggiati a riprodursi in modo incontrollato proprio perché vengono nutriti dai cittadini, senza che questi comprendano le conseguenze di questo gesto. Campagne di sensibilizzazione potrebbero ridurre notevolmente il problema alla radice, spiegando l’importanza di non alimentare i piccioni in modo indiscriminato.

Queste soluzioni avrebbero permesso di ridurre la popolazione dei piccioni in modo graduale e rispettoso della loro vita, eppure sono state prese solo parzialmente in considerazione e attuate senza un strategia sistemica (i Comuni interessati dovevano emanare ordinanze di divieto di foraggiamento e di obbligo di chiusura dei siti di potenziale nidificazione presenti negli edifici pubblici e privati).

Perché? La risposta sembra risiedere in una mancanza di visione politica, una mancanza di interesse per una gestione lungimirante della fauna urbana.

Abbiamo bisogno di una politica etica e sostenibile che anticipi i problemi

Torino merita una politica che sappia anticipare i problemi, non che li affronti con gabbie tortura e colpi di lupara.

La gestione della fauna urbana non può ridursi all’eliminazione degli animali che consideriamo “fastidiosi”. Dobbiamo imparare a convivere con gli altri esseri viventi in modo pacifico, rispettando i loro diritti e il loro ruolo nell’ecosistema urbano.

I piccioni sono parte integrante delle città italiane e meritano di essere trattati con rispetto. Non possiamo continuare a tradire quegli animali che abbiamo addomesticato e da cui abbiamo tratto beneficio.

#Votare per politici che abbiano una visione etica e sostenibile significa garantire che questi tradimenti non si ripetano. Significa scegliere una gestione urbana che sia rispettosa di tutte le forme di vita. Significa essere consapevoli e voler cambiare le cose.

Il massacro dei piccioni a Torino è l’ennesimo favore a un sistema che vede la violenza come unica soluzione. Ma non è così che si risolvono i problemi. Non con la violenza, ma con la compassione e la lungimiranza.

È ora di agire. È ora di eleggere leader illuminati, che abbiano il coraggio di difendere il nostro territorio e tutti gli esseri viventi che lo popolano!

#VOTOCONSAPEVOLE #COLOMBI

Appuntamenti

 

Ci vediamo il 7 dicembre 2024, dalle ore 15.00 alle 18.00, a PIAZZA CASTELLO (TO), per MANIFESTARE contro la strage di piccioni nella Città Metropolitana di Torino.

La manifestazione vedrà protagoniste le organizzazioni e le associazioni animaliste del territorio torinese!

#DirittiAnimali

La fame nel mondo e l’industria della carne: una connessione che può essere spezzata partendo dalla nostra città.

L’industria della carne ha un impatto devastante non solo sull’ambiente, ma anche sulla distribuzione delle risorse alimentari a livello globale.

Il consumo di carne non è solo un problema di benessere animale o di cambiamento climatico: è strettamente legato alla fame nel mondo.

Questo articolo di Animal Equality spiega chiaramente come una quantità enorme di risorse agricole venga destinata alla produzione di mangimi per il bestiame, anziché al nutrimento diretto delle persone.

Si stima che per produrre un chilogrammo di carne bovina siano necessari tra i 7 e i 10 chilogrammi di grano.

Questo squilibrio nell’allocazione delle risorse alimentari ha conseguenze drammatiche: mentre i paesi sviluppati consumano quantità esorbitanti di carne, milioni di persone in altre parti del mondo soffrono di fame e malnutrizione.

Dati sull’impatto dell’industria della carne

Uno degli aspetti più sconvolgenti è proprio la quantità di grano e altre colture destinate all’alimentazione animale.

Le risorse che potrebbero essere utilizzate per sfamare direttamente le persone vengono invece destinate a nutrire animali da allevamento. Questo meccanismo è parte integrante di un ciclo che alimenta le disuguaglianze globali.

Secondo la FAO (Food and Agriculture Organization), il 33% dei cereali prodotti nel mondo viene destinato all’alimentazione del bestiame.

Questo non solo sottrae cibo dalle tavole dei più bisognosi, ma contribuisce anche alla crisi ecologica, poiché l’allevamento intensivo richiede un uso massiccio di risorse idriche e provoca deforestazione e perdita di biodiversità.

Inoltre, le emissioni di gas serra generate dal settore zootecnico rappresentano una delle principali cause del cambiamento climatico, con il metano rilasciato dagli allevamenti intensivi che ha un effetto serra 28 volte più potente del biossido di carbonio.

Ridurre il consumo di carne è una misura fondamentale non solo per proteggere l’ambiente, ma anche per redistribuire meglio le risorse alimentari a livello globale.

La fame nel mondo e il consumo di carne

Attualmente, il Pianeta produce cibo sufficiente per sfamare circa 10 miliardi di persone, ma nonostante ciò, oltre 800 milioni di persone soffrono la fame.

La ragione principale di questa contraddizione risiede nel fatto che gran parte delle risorse agricole viene utilizzata per sostenere l’industria della carne.

Qualche dato. Per 100 grammi di proteine che diamo da mangiare ad un manzo ce ne restituisce 5 utilizzabili, e così via dicendo per maiali, polli, ecc.

Il Worldwatch Institute ha stimato che solo il 10% delle calorie fornite dagli alimenti destinati agli animali da allevamento ritorna sotto forma di carne, latticini o uova, mentre il restante 90% viene “perso” nel processo di crescita degli animali.

Questo squilibrio è particolarmente evidente se consideriamo l’acqua necessaria per produrre carne rispetto a quella necessaria per produrre alimenti vegetali.

Per esempio, produrre 1 kg di carne di manzo richiede circa 15.000 litri di acqua, mentre 1 kg di grano ne richiede solo 1.500 . È evidente che l’attuale sistema alimentare, basato principalmente sulla produzione di carne, non è sostenibile.

L’emotività dietro l’industria della carne

L’industria della carne non è solo una questione di numeri o di impatti ambientali. C’è un profondo aspetto emotivo e morale che riguarda il modo in cui trattiamo gli animali.

Gli animali da allevamento, spesso sottoposti a condizioni crudeli e disumane, vivono in spazi angusti, soffrono di stress e malattie, e vengono macellati in modo crudele. Questa sofferenza non è solo eticamente sbagliata, ma ha anche conseguenze sulla qualità della carne che consumiamo.

Molti studi hanno dimostrato che gli animali allevati in condizioni di stress cronico producono carne di qualità inferiore, con livelli più alti di cortisolo, un ormone dello stress.

Questo significa che, oltre alle questioni morali, vi sono anche implicazioni per la nostra salute.

Un cambiamento necessario: il Piano di Riduzione della Carne

La Danimarca ha preso atto di questa connessione tra l’industria della carne e i problemi globali e ha messo in atto un piano ambizioso per ridurre il consumo di carne a livello nazionale.

Questo piano mira a trasformare il settore agricolo danese in un modello più sostenibile, riducendo la produzione di carne del 25% entro il 2030.

L’obiettivo finale è quello di creare un sistema alimentare che sia più rispettoso dell’ambiente e delle risorse naturali, favorendo al contempo la salute umana e il benessere animale .

Nel piano danese, l’alimentazione a base vegetale gioca un ruolo cruciale. Le autorità incoraggiano il passaggio a diete più sane e sostenibili attraverso incentivi per l’agricoltura biologica e il supporto alla ricerca su alternative proteiche.

Un altro obiettivo è quello di abbattere le emissioni di gas serra e ridurre lo spreco di risorse agricole.

Per saperne di più sul piano danese e la sua visione a lungo termine, leggi il nostro approfondimento sul Piano di riduzione della carne danese.

La variante italiana. Un piano tutto nostro.

Se la Danimarca può implementare un piano di riduzione della carne, perché l’Italia non può fare lo stesso?!

Un piano di riduzione della carne italiano potrebbe includere incentivi per i produttori agricoli che scelgono di dedicarsi all’agricoltura sostenibile, con un forte supporto a cooperative e coltivazioni locali.

Promuovere l’alimentazione a base vegetale nelle scuole, negli ospedali e nelle mense pubbliche sarebbe un passo significativo per ridurre la domanda di carne e incoraggiare scelte alimentari più etiche.

Un piano simile in Italia dovrebbe prevedere:

  1. IVA ridotta sui prodotti vegetali: invertire l’attuale paradosso fiscale, applicando un’IVA più bassa sui prodotti di origine vegetale rispetto a quelli di origine animale. Questa misura incentiverebbe il consumo di alternative vegetali, rendendole economicamente più accessibili e favorendo una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile.
  2. Incentivi fiscali per le aziende agricole biologiche: offrire agevolazioni fiscali e finanziamenti a chi sceglie di produrre alimenti vegetali biologici e sostenibili.
  3. Sovvenzioni per la ricerca: investire nella ricerca di tecnologie innovative per la produzione di carne coltivata in laboratorio e alternative vegetali.
  4. Campagne di sensibilizzazione: educare i cittadini sui benefici di una dieta plant-based non solo per la salute personale, ma anche per l’ambiente.

I vantaggi di un piano di riduzione della carne sono molteplici. Non solo ridurrebbe le emissioni di gas serra, ma alleggerirebbe anche la pressione sulle risorse idriche e agricole.

La dieta mediterranea, quella originale, già famosa per la sua ricchezza in frutta, verdura e cereali, potrebbe diventare il modello alimentare di riferimento, esportando l’immagine di un’Italia che punta alla sostenibilità.

Torino come New York: un modello da seguire

Torino ha l’opportunità di diventare una pioniera in Italia nella lotta contro il cambiamento climatico e l’impatto ambientale dell’industria della carne, prendendo esempio da città come New York.

Nella Grande Mela, iniziative come il Green New Deal e il Plant-Based Food Policy hanno dimostrato come politiche mirate possano trasformare il sistema alimentare locale, rendendolo più sostenibile e orientato alla salute pubblica.

Adottare piani simili significherebbe introdurre pasti plant-based nelle mense scolastiche, ospedaliere e pubbliche di Torino, educando al tempo stesso i cittadini sui benefici ambientali ed etici di una dieta a base vegetale.

Torino come città faro nella promozione di sistemi alimentari sostenibili.

La città potrebbe avviare, in una prima fase, progetti pilota nelle mense comunali, riducendo progressivamente la carne nei menù e coinvolgendo la popolazione attraverso campagne educative che evidenzino i benefici di una dieta plant-based per il benessere animale, l’ambiente e la salute.

Ma per realizzare questa visione, non bastano solo iniziative isolate: servono politiche coraggiose e amministratori visionari che abbiano la determinazione di inaugurare una nuova stagione di cambiamenti strutturali.

Proposte per un futuro più verde

Le scelte individuali hanno un impatto collettivo, ma è attraverso decisioni politiche strategiche che si costruisce un cambiamento duraturo. Torino ha bisogno di leader che mettano al centro delle loro agende politiche il benessere degli esseri viventi e la sostenibilità ambientale.

Altre punti del piano da sviluppare sono:

  • Introduzione di incentivi fiscali per produttori agricoli locali: sostenere le cooperative agricole che producono alimenti biologici e sostenibili, riducendo la dipendenza dai modelli intensivi.
  • Promozione di orti urbani: incentivare ogni quartiere a creare spazi per la coltivazione condivisa, rafforzando la comunità e migliorando la sicurezza alimentare locale.
  • Piani di educazione alimentare su larga scala: campagne che sensibilizzino i cittadini sull’impatto della produzione di carne e sull’importanza di scelte alimentari sostenibili, coinvolgendo scuole, associazioni e aziende.

Il ruolo della politica e il potere del voto

Come detto, questa transizione richiede amministratori coraggiosi che non temano di prendere decisioni impopolari nel breve termine, ma necessarie per costruire un futuro più equo e sostenibile.

Serve una classe politica che comprenda l’urgenza di agire, che scelga di sostenere modelli di produzione etica e di promuovere stili di vita rispettosi dell’ambiente.

Allo stesso tempo, i cittadini hanno un ruolo chiave: contribuire con scelte etiche e sostenibili nella loro quotidianità e, soprattutto, con il proprio voto consapevole.

È cruciale sostenere rappresentanti politici che si impegnino concretamente per il cambiamento, che comprendano l’importanza di trasformare Torino in un esempio nazionale di sostenibilità alimentare.

Un futuro che possiamo costruire insieme

Torino può davvero diventare una città modello, un punto di riferimento per tutte le altre realtà italiane.

Questo non è un sogno irraggiungibile, ma una visione concreta che dipende da scelte lungimiranti e dalla responsabilità condivisa di amministratori e cittadini.

Un futuro più verde, equo e rispettoso della vita animale è possibile, ma solo se troveremo la forza di stare dalla parte giusta!

#AgireOra #VotoConsapevole #Carne

La Danimarca riduce la carne. E noi?! Torino può essere la New York italiana.

La Danimarca, un piccolo paese del nord Europa, ha recentemente fatto un grande passo verso la sostenibilità alimentare attraverso l’adozione di un piano nazionale per la riduzione del consumo di carne e la promozione degli alimenti a base vegetale.

Questo piano è parte integrante della transizione verde che il paese ha deciso di intraprendere, con l’obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, promuovere la salute pubblica e incoraggiare uno stile di vita più sostenibile.

La Storia del piano danese

La genesi di questo piano risale a un lungo dibattito iniziato già alla fine degli anni 2000, quando le preoccupazioni ambientali cominciavano a dominare l’agenda politica globale.

Ma è solo nel 2021, con l’accordo per la transizione verde dell’agricoltura danese, che è stato posto un chiaro obiettivo: ridurre il consumo di carne attraverso una serie di politiche volte a favorire il passaggio verso una dieta più vegetale.

Il piano si inserisce all’interno di un più ampio accordo tra i principali partiti politici danesi, e prevede una serie di misure innovative per incoraggiare la produzione e il consumo di alimenti vegetali.

Secondo questo piano, il governo danese ha messo in campo diverse iniziative, tra cui l’investimento in start-up che sviluppano alimenti a base vegetale, la promozione di cibi vegetali nelle mense scolastiche e aziendali, e la creazione di reti di ricerca e innovazione per sostenere il settore.

Una delle principali caratteristiche del piano è l’introduzione di linee guida alimentari che incoraggiano i cittadini a ridurre il consumo di carne e a incrementare quello di legumi, cereali integrali e verdure.

Il governo ha destinato fondi significativi per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie agricole in grado di supportare la produzione alimentare vegetale su larga scala.

La Danimarca vuole diventare un leader globale nel settore degli alimenti a base vegetale, con l’obiettivo di raddoppiare la produzione agricola sostenibile entro il 2030. Si stima che le misure contenute nel piano potrebbero ridurre le emissioni di CO2 del paese fino al 45%.

Aftale om Grøn Omstilling – Accordo sulla transizione verde

L’agricoltura danese ha tradizionalmente prodotto grandi quantità di carne suina e bovina, esportate in tutto il mondo. Tuttavia, la crescente consapevolezza degli effetti nocivi della produzione e del consumo di carne sull’ambiente ha spinto la Danimarca a ripensare i suoi modelli produttivi.

Nel 2021, il governo danese ha avviato un percorso di riforma radicale, inserendo il settore agroalimentare all’interno del suo piano per la transizione verde. L’Aftale om Grøn Omstilling, ovvero l’accordo sulla trasformazione verde, stabilisce obiettivi specifici per ridurre il consumo di carne nel paese e promuovere alternative vegetali.

Obiettivi a lungo termine – 27.000 nuovi posti di lavoro

Gli obiettivi principali del piano danese sono ridurre la produzione e il consumo di carne del 50% entro il 2030, promuovendo al contempo alternative alimentari più sostenibili e nutrienti.

Il piano include anche misure per incentivare la transizione degli agricoltori dalla produzione di carne a quella di colture vegetali, creando così una catena del valore che favorisca l’innovazione e la sostenibilità.

Il lungo periodo prevede anche una revisione delle politiche agricole per garantire che la transizione verde coinvolga tutti i settori della società, compresi i piccoli produttori e le industrie locali.

Si è stimato che questo piano possa generare fino a 27.000 nuovi posti di lavoro nel settore agricolo e alimentare. Inoltre, la Danimarca sta lavorando per esportare questo modello all’estero, promuovendo i suoi alimenti a base vegetale in mercati emergenti come quello asiatico.

L’Italia ha le potenzialità per fare meglio

Ma cosa accadrebbe se l’Italia adottasse un piano simile a quello danese? Il nostro paese, pur essendo noto per la sua cucina ricca e variegata, sta affrontando una crisi ambientale e sanitaria sempre più preoccupante.

L’incredibile varietà della produzione vegetale del nostro Paese, ci regala un vantaggio competitivo significativo. Eppure il consumo di carne pro-capite in Italia è di circa 78 kg, con un impatto significativo sulle emissioni di gas serra, sulla salute pubblica e sulla sostenibilità dei sistemi agricoli.

Verso un piano “made in Italy” di riduzione della carne

Un piano di riduzione della carne per l’Italia non solo sarebbe possibile, ma auspicabile. Ecco cosa potrebbe contenere:

a) IVA ridotta sui prodotti vegetali: invertire l’attuale paradosso fiscale, applicando un’IVA più bassa sui prodotti di origine vegetale rispetto a quelli di origine animale. Questa misura incentiverebbe il consumo di alternative vegetali, rendendole economicamente più accessibili e favorendo una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile.

b) Incentivi alla produzione vegetale: proprio come la Danimarca, anche l’Italia potrebbe implementare incentivi fiscali e finanziamenti per sostenere la transizione degli agricoltori dalla produzione di carne a quella di colture vegetali.

Le Regioni italiane potrebbero essere coinvolte nella creazione di distretti agricoli dedicati alla coltivazione di legumi, cereali integrali, frutta e verdura biologica. Questo creerebbe nuove opportunità di lavoro, specialmente nelle aree rurali.

c) Promozione di un’alimentazione sana e sostenibile: un piano italiano dovrebbe includere campagne di sensibilizzazione a livello nazionale che promuovano i benefici di una dieta a base vegetale per la salute umana e il pianeta. Le linee guida alimentari ufficiali dovrebbero essere aggiornate per ridurre il consumo di carne e incentivare l’uso di legumi, verdure e cereali integrali. In questo modo, si migliorerebbe la salute pubblica e si ridurrebbe l’impatto ambientale del settore alimentare.

d) Innovazione nelle mense pubbliche: le mense scolastiche, universitarie, aziendali e ospedaliere dovrebbero essere il punto di partenza per introdurre pasti sostenibili. Un esempio da seguire è quello di New York, che ha implementato il “Meatless Monday” nelle mense scolastiche, offrendo ai ragazzi piatti a base vegetale un giorno alla settimana. Questa misura, inizialmente vista come sperimentale, ha riscosso grande successo e ha spianato la strada per l’introduzione di più pasti vegetariani durante la settimana.

e) Sviluppo di tecnologie agricole sostenibili: la ricerca e l’innovazione sono cruciali per sostenere questa transizione. Le università italiane e i centri di ricerca dovrebbero essere incentivati a sviluppare tecnologie agricole avanzate che riducano l’impatto ambientale della produzione alimentare. Ad esempio, investire nella coltivazione di legumi azotofissatori non solo migliorerebbe la qualità del suolo, ma ridurrebbe anche l’uso di fertilizzanti chimici.

Perché L’Italia ha bisogno di ridurre il consumo di carne

Il consumo di carne in Italia, pur essendo parte della tradizione culinaria nazionale, ha un impatto significativo sull’ambiente e sulla salute pubblica. Gli allevamenti intensivi contribuiscono per circa il 15% alle emissioni totali di gas serra globali, secondo i dati della FAO.

In alcune zone del Paese, la Pianura Padana per esempio,  vista l’alta concentrazione di allevamenti di suini, bovini e polli, questa percentuale sale di diversi punti.

Ridurre il consumo di carne avrebbe un impatto significativo sulla riduzione delle emissioni e  dell’inquinamento sistemico, migliorando anche la qualità della dieta dei cittadini italiani.

Un piano italiano di riduzione della carne potrebbe includere politiche simili a quelle adottate in Danimarca: incentivi per la produzione agricola vegetale, campagne di sensibilizzazione pubblica sui benefici di una dieta vegetale e il rafforzamento delle politiche a favore di un’alimentazione più sana e sostenibile.

Inoltre, si potrebbe puntare sulla promozione della dieta mediterranea vegetale, già riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità, per ridurre il consumo di carne e incrementare il consumo di cereali, legumi e verdure .

I benefici di un Piano Italiano di riduzione della carne

I benefici di un piano di riduzione della carne in Italia sarebbero molteplici:

  • riduzione delle emissioni di gas serra: l’allevamento intensivo è una delle principali fonti di emissioni di metano, un gas serra che ha un impatto 28 volte maggiore della CO2. Ridurre la produzione di carne contribuirebbe significativamente a ridurre l’impatto climatico del Paese;
  • miglioramento della salute pubblica: una dieta ricca di vegetali e povera di carne rossa e lavorata riduce il rischio di malattie cardiovascolari, diabete e alcuni tipi di cancro, migliorando la qualità della vita dei cittadini;
  • conservazione delle risorse naturali: l’allevamento intensivo consuma enormi quantità di acqua e suolo. Spostare la produzione verso colture vegetali ridurrebbe lo stress sulle risorse idriche e migliorerebbe la qualità del suolo;
  • promozione della biodiversità: ridurre il numero di animali allevati per la produzione di carne permetterebbe di ripristinare ecosistemi degradati e favorire la biodiversità.

Torino come New York, può arrivare prima!

Torino, come molte altre città italiane, ha un ruolo cruciale nella promozione di stili di vita più sostenibili. Seguendo l’esempio di città come New York, che ha adottato un approccio “planet-based” nelle scuole e negli uffici pubblici, anche Torino potrebbe diventare un modello di innovazione alimentare.

Ecco come un piano di riduzione della carne potrebbe essere implementato a livello cittadino:

– Mense scolastiche e aziendali sostenibili: le mense scolastiche e aziendali potrebbero costruire nuovi percorsi educativi legati al cibo, inteso come identità, conoscenza e cultura. Si potrebbero introdurre corsi di cucina a base vegetale per il personale, con l’obiettivo di promuovere una cucina sana, gustosa e rispettosa dell’ambiente.

Ogni settimana, le scuole torinesi potrebbero adottare il “Meatless Monday“, riducendo così il consumo di carne e insegnando ai bambini l’importanza di una dieta equilibrata.

– Mercati e filiera corta: Torino ha una lunga tradizione di mercati locali, e questa può essere sfruttata per promuovere la vendita di alimenti a base vegetale prodotti localmente. La filiera corta non solo ridurrebbe le emissioni legate al trasporto degli alimenti, ma garantirebbe anche un maggiore supporto agli agricoltori locali, incentivandoli a investire in colture sostenibili.

– Formazione e sensibilizzazione: le politiche alimentari devono partire dall’educazione. Torino potrebbe lanciare campagne di sensibilizzazione sui benefici della riduzione del consumo di carne, coinvolgendo scuole, università e associazioni civiche.

La città potrebbe organizzare festival alimentari dedicati alla cucina a base vegetale, offrendo ai cittadini l’opportunità di esplorare nuovi gusti e tradizioni culinarie. Campagne pubblicitarie e eventi educativi sarebbero essenziali per diffondere la consapevolezza tra i cittadini.

– Sostegno agli agricoltori locali: Torino potrebbe creare un fondo per sostenere gli agricoltori locali che vogliono passare dalla produzione di carne a quella di alimenti vegetali. In questo modo, si sosterrebbe l’economia locale e si promuoverebbe una dieta più sostenibile.

– Agevolazioni e sgravi fiscali:  il piano potrebbe includere delle agevolazioni fiscali per ristoranti e supermercati che promuovono alternative vegetali e sgravi fiscali per aziende che investono in soluzioni sostenibili.

– Politiche lungimiranti: infine, è fondamentale che i politici torinesi adottino una visione a lungo termine, impegnandosi non solo nella riduzione del consumo di carne, ma anche nella promozione di politiche che incentivino la transizione verso un’alimentazione più sostenibile.

Una nuova Torino, una nuova Italia

Il futuro alimentare dell’Italia e di città come Torino dipende dalle scelte che facciamo oggi. Seguendo l’esempio della Danimarca, possiamo avviare una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile, che riduca il consumo di carne e favorisca uno stile di vita più salutare.

Torino, con le sue radici culturali e la sua tradizione culinaria, ha il potenziale per guidare questo cambiamento, diventando un modello per altre città e regioni.

Adottare un piano di riduzione della carne non significa rinunciare alle nostre tradizioni, ma piuttosto evolvere verso un modello più rispettoso del pianeta e della salute umana.

Ridurre il consumo di carne è un passo fondamentale per affrontare le sfide del cambiamento climatico e garantire un futuro alle nuove generazioni!

#PIANODIRIDUZIONEDELLACARNE #TORINO #VOTOCONSAPEVOLE

Il testo unico sul benessere animale: Il Piemonte fa da apripista. Verso un futuro di rispetto per tutti gli esseri senzienti

Torino, la nostra città, ha sempre dimostrato una grande sensibilità verso gli animali di affezione. Chi di noi non ha un cane o un gatto che ama come un vero e proprio membro della famiglia?

In molti casi, i nostri amici a quattro zampe sono più di semplici animali domestici: sono parte integrante della nostra vita, capaci di donare affetto e compagnia in modo incondizionato.

Questa forte connessione tra gli esseri umani e gli animali è stata finalmente riconosciuta dalla Legge Regionale n.16 del 2024 del Piemonte, un testo all’avanguardia che mette il benessere degli animali al centro delle politiche locali.

Questo nuovo testo sul benessere animale per gli animali di affezione mira a garantire migliori condizioni di vita per i nostri compagni domestici, attraverso norme rigorose per la protezione, la salute e la prevenzione del randagismo.

Ma possiamo davvero fermarci qui? È sufficiente difendere solo gli animali domestici?

Il riconoscimento del benessere degli animali da affezione

Con l’adozione della Legge Regionale n.16 del 2024, il Piemonte ha fatto un passo importante per il riconoscimento del valore e dei diritti degli animali d’affezione.

Il testo sancisce, per esempio, che gli animali non devono subire maltrattamenti e devono essere trattati con rispetto, garantendo loro spazi adeguati, cure veterinarie appropriate e attenzione al loro benessere fisico ed emotivo.

Le misure per il controllo del randagismo, la registrazione degli animali e la promozione di campagne di sensibilizzazione sono fondamentali per costruire una società in cui il rapporto tra animali e esseri umani sia equilibrato e armonioso.

Potete approfondire il contenuto di questa importante normativa cliccando qui.

Torino si è sempre dimostrata una città amante degli animali. Passeggiando per i suoi viali alberati o nei suoi parchi, è facile incontrare persone che passeggiano fianco a fianco con i loro amici a quattro zampe.

Qui, più che altrove, cani e gatti, sono più che semplici animali: sono membri delle nostre famiglie, compagni di vita, esseri viventi con cui condividiamo gioie e momenti di quotidianità.

Gli animali da reddito: perché queste differenze?

Purtroppo, c’è un’incredibile differenza di trattamento tra gli animali che vivono nelle nostre case e quelli che invece chiamiamo “animali da reddito”.

Cani e gatti sono tutelati da leggi che ne riconoscono i diritti e il benessere, mentre animali come maiali, mucche e polli sono spesso considerati meri oggetti produttivi, senza alcun rispetto per la loro dignità e sofferenza. Perché questa distinzione?

Gli animali d’allevamento sono esseri senzienti tanto quanto i nostri cani e gatti. Hanno una loro personalità, amano, soffrono e sognano esattamente come qualsiasi altro animale.

Numerosi studi scientifici, come quelli condotti dal Farm Sanctuary e pubblicati dalla FAO, hanno dimostrato che maiali e mucche sono animali intelligenti, capaci di provare emozioni complesse, e che vivono vite ricche di interazioni sociali. Perché allora continuiamo a trattarli come se non contassero?

Secondo la Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali, adottata dalle Nazioni Unite a New York, gli animali sono esseri senzienti e hanno diritto a un’esistenza libera dal dolore e dallo sfruttamento.

Questa dichiarazione, simbolo di una coscienza globale in espansione, dovrebbe ispirare le nostre politiche locali e nazionali, affinché il rispetto per tutti gli animali diventi una priorità nelle decisioni politiche e legislative.

Potete leggere il testo della dichiarazione alla fine dell’articolo.

Normative inadeguate e la realtà degli allevamenti

Attualmente, la normativa italiana prevede alcune tutele per gli animali da reddito, ma si tratta di regole minime, insufficienti a garantire loro una vita dignitosa.

Il Regolamento CE n. 1/2005, che stabilisce le norme per il trasporto degli animali, e la Direttiva 98/58/CE sul benessere negli allevamenti, sono solo alcuni esempi di normative che, pur esistendo, non vengono applicate con rigore e spesso considerano gli animali come strumenti di produzione piuttosto che come esseri viventi.

Negli allevamenti intensivi, gli animali da reddito vivono in condizioni disumane, spesso ammassati in spazi ridotti, senza la possibilità di muoversi liberamente o esprimere comportamenti naturali.

I maiali, per esempio, passano la maggior parte della loro vita in gabbie strette, privati di ogni stimolo e costretti a vivere in condizioni igieniche precarie.

Le mucche, sfruttate per la produzione di latte, vengono continuamente inseminate per mantenere alta la produzione, e i loro vitelli sono spesso separati da loro pochi giorni dopo la nascita.

La Legge 189/2004, che ha introdotto in Italia il reato di maltrattamento di animali, è sicuramente un passo avanti, ma non è sufficiente. Il problema è che gli animali da reddito vengono ancora trattati come risorse economiche, senza alcuna considerazione per il loro benessere.

Questo è inaccettabile, e le normative devono essere aggiornate per garantire che tutti gli animali, indipendentemente dalla loro funzione, siano trattati con rispetto.

Un Testo Unico per il Benessere Animale: la visione del Partito Animalista di Torino

Il Partito Animalista di Torino guarda al futuro con una proposta visionaria: trasformare il Piemonte e Torino in un modello globale di tutela del benessere animale, attraverso un Testo Unico per il Benessere di Tutti gli Animali.

Non è solo un’idea, ma un obiettivo ambizioso, un salto evolutivo verso una società che rispetti ogni forma di vita. Perché fermarsi agli animali d’affezione?

È tempo di includere tutti gli animali, da quelli che condividono le nostre case a quelli che popolano i campi e le foreste.

Questa proposta, che nasce dai punti del Programma del PAI torinese, poggia sulla consapevolezza che il Piemonte ha già dimostrato di avere, con la promulgazione della Legge Regionale n.16 del 2024, una normativa pionieristica che tutela gli animali domestici.

Ma la sofferenza degli animali negli allevamenti intensivi, nei macelli e nelle riserve di caccia continua ad essere ignorata. È arrivato il momento di fare uno step ulteriore, adottando una legislazione che metta fine a ogni forma di sfruttamento e maltrattamento.

La visione: Torino e il Piemonte come modelli globali

Immaginate una Torino e un Piemonte dove gli animali non sono più sfruttati, ma rispettati come esseri senzienti. Il Partito Animalista di Torino propone una normativa che includa misure concrete per garantire la dignità e il benessere di tutti gli animali.

Il nuovo testo non si limiterebbe a vietare pratiche come la caccia o l’allevamento intensivo, ma costruirebbe un modello etico e sostenibile per l’intera comunità.

I punti salienti di un nuovo testo pioneristico sul benessere animale

Questo progetto non è un sogno utopistico, ma una visione realizzabile, basata su pilastri fondamentali che affrontano sia le esigenze etiche sia quelle ambientali. Ecco alcune delle principali aree d’azione:

  1. Riconoscimento e rispetto della senzienza di tutti gli animali
    Ogni animale, domestico o selvatico, da reddito o d’affezione, verrebbe riconosciuto come essere senziente, dotato di emozioni e capacità di soffrire. Questo principio stabilisce una base etica che supera ogni distinzione arbitraria.
  2. Divieto di allevamenti intensivi
    Gli allevamenti intensivi, simbolo dello sfruttamento sistematico, verrebbero gradualmente eliminati. Il Piemonte promuoverebbe alternative come un’agricoltura basata su alimenti vegetali. Questo approccio non solo migliorerebbe il benessere animale, ma ridurrebbe anche drasticamente l’impatto ambientale, con ricadute positive sulla salute dei cittadini.
  3. Fine della caccia e protezione della fauna selvatica
    La caccia, in tutte le sue forme, sarebbe vietata. Gli animali selvatici verrebbero tutelati attraverso la creazione di aree protette, programmi di conservazione e la rigenerazione degli habitat naturali.
  4. Benessere negli ambienti domestici
    Gli animali da compagnia, parte integrante delle nostre famiglie, riceverebbero una tutela completa. Questo include assistenza veterinaria garantita, misure contro l’abbandono e pene severe per i maltrattamenti.
  5. Educazione e sensibilizzazione
    La legge prevederebbe l’introduzione di programmi educativi nelle scuole, per insegnare alle nuove generazioni il rispetto per ogni forma di vita. La sensibilizzazione pubblica verrebbe incentivata attraverso campagne mediatiche e collaborazioni con associazioni animaliste.
  6. Tutela ambientale e riduzione delle emissioni
    La proposta non si limita al benessere animale, ma si collega alla necessità di ridurre l’impatto ambientale. Gli allevamenti intensivi, principali produttori di gas serra, verrebbero sostituiti da modelli agricoli sostenibili.
  7. Un reddito di cittadinanza comunale etico
    Per le persone più vulnerabili, il Partito Animalista propone un reddito di cittadinanza comunale che promuova uno stile di vita etico, sostenibile e rispettoso del pianeta. Questo non solo aiuterebbe chi è in difficoltà, ma creerebbe un tessuto sociale più forte e consapevole.

Una Proposta visionaria per l’Italia

Questa proposta non si limita al Piemonte: vuole essere un modello replicabile a livello nazionale. Un cambiamento così profondo non può essere confinato a una regione, ma deve diventare un punto di riferimento per l’intera Italia e oltre.

Torino potrebbe così consolidarsi come la capitale del benessere animale, esportando una legislazione che ispiri altre realtà.

Perché ora?

Il tempo per agire è adesso. Continuare con l’attuale sfruttamento degli animali e delle risorse naturali significa condannare il nostro futuro.

Come sottolinea Raul Camarda, coordinatore del Partito Animalista della Citta Metropolitana di Torino, “Non possiamo discutere di chi comanda a casa, se la casa cade a pezzi“. È necessario abbracciare una visione che ponga la vita, in tutte le sue forme, al centro delle scelte politiche.

Il potere del cambiamento è nelle nostre mani!

Siamo a un bivio. Torino, con la sua lunga tradizione animalista, può essere il punto di partenza per un cambiamento epocale nella legislazione sugli animali. Ma tutto dipende da noi.

Sosteniamo i politici e le forze politiche che hanno il coraggio di mettere il benessere animale al centro del loro programma. Dobbiamo fare in modo che il rispetto per la vita e per la dignità di tutti gli animali, d’affezione e da reddito, sia parte integrante delle politiche future.

#VotoConsapevole #DirittiAnimali

Non possiamo più aspettare. Agiamo ora, per un Piemonte, per un’Italia e per un mondo dove tutti gli animali possano vivere liberi da sofferenze inutili. È nelle nostre mani fare la differenza!

#PRIMIPASSI – Copiamo da chi è partito prima di noi: il Piano danese di riduzione della carne

#BENESSEREANIMALE #DIRITTIANIMALI #VOTOCONSAPEVOLE

L’idropolitana di Torino: un’opera necessaria, ma basterà?! Gas serra e cambiamento climatico non fanno sconti a nessuno.

Torino è in movimento e non solo in senso figurato. È infatti partita la costruzione dell’idropolitana torinese (che dovrebbe concludersi nel 2028), un’opera faraonica e innovativa che attraverserà la città con un collettore di 14 km dedicato alla raccolta delle acque meteoriche e fognarie.

Questa infrastruttura, voluta da SMAT e con un investimento di oltre 140 milioni di euro, si estenderà a 20 metri di profondità e avrà un diametro di 3,2 metri​.

Un’opera ingegneristica straordinaria che coinvolgerà non solo Torino, ma anche 20 comuni della cintura metropolitana.

L’idropolitana è pensata per affrontare due grandi sfide: da un lato, consentire la manutenzione del vecchio collettore fognario, ormai sovraccarico, e dall’altro, gestire il crescente problema delle piogge improvvise e violente causate dai cambiamenti climatici.

Le forti piogge, che un tempo erano eventi rari, stanno diventando sempre più frequenti e imprevedibili, mettendo a dura prova l’infrastruttura urbana.

La funzione dell’idropolitana sarà quella di convogliare le acque piovane e quelle fognarie verso il depuratore di Castiglione Torinese, riducendo il rischio di allagamenti e migliorando la qualità delle acque rilasciate nel Po.

Certo, possiamo essere orgogliosi di questa iniziativa che, tra qualche anno, vedrà i frutti del lavoro sotto i nostri piedi.

Ma siamo sicuri che bastino opere come l’idropolitana per risolvere davvero i problemi legati ai cambiamenti climatici?

Le infrastrutture sono solo una parte del “quadro”. Il vero problema, quello che ci ha portato ad affrontare eventi climatici sempre più estremi, è un altro: l’eccessiva produzione di gas serra.

Gas serra, cambiamenti climatici e Pianura Padana: una tempesta perfetta

Il cambiamento climatico è ormai una realtà innegabile, e i suoi effetti sono sempre più evidenti.

Violente piogge improvvise, ondate di calore estreme, siccità prolungate e inverni anomali stanno trasformando la Pianura Padana in una delle aree più vulnerabili d’Europa.

Questi fenomeni non sono più eventi eccezionali, ma segnali di un sistema climatico profondamente alterato. Torino, come molte città italiane, si trova a fronteggiare le conseguenze dirette di questo sconvolgimento.

Ma quali sono le cause principali?

È facile pensare che i trasporti o l’industria siano i maggiori responsabili. Eppure, il settore degli allevamenti intensivi contribuisce in modo significativo alle emissioni di gas serra, aggravando una situazione già critica.

Secondo la FAO, il settore zootecnico rappresenta circa il 15 % delle emissioni globali di gas serra, un valore paragonabile, se non superiore, a quello dell’intero comparto dei trasporti.

Nella Pianura Padana, questa cifra è amplificata dalla concentrazione di allevamenti intensivi e attività agricole, rendendo l’area una “tempesta perfetta” per la crisi climatica.

I principali responsabili: agrozootecnia, industria e trasporti

Le emissioni di gas serra nella Pianura Padana derivano principalmente da tre settori:

Agrozootecnia: gli allevamenti intensivi e l’agricoltura correlata contribuiscono per circa il 20-25% delle emissioni totali di gas serra.

Questo avviene principalmente attraverso il rilascio di metano dagli animali ruminanti e di protossido di azoto dai fertilizzanti utilizzati nelle coltivazioni.

Inoltre, la produzione di carne bovina richiede enormi quantità di acqua: secondo il Water Footprint Network, servono circa 15.000 litri per ogni chilogrammo prodotto.

Industria: con un contributo del 25-30% alle emissioni di gas serra, l’industria nella Pianura Padana rappresenta una delle maggiori fonti di inquinamento. Le emissioni derivano dall’uso di combustibili fossili e dai processi industriali.

Trasporti e riscaldamenti: questi settori sono responsabili delle restanti emissioni, prodotte dal traffico intenso su arterie principali come l’A1 e l’A4 che genera alti livelli di CO₂ e particolato.

I riscaldamenti poi, durante il periodo invernale, balzano in testa alla classifica delle fonti inquinanti dell’aria delle nostre città.

Torino e gli altri Comuni dell’area metropolitana soffrono particolarmente di questa situazione, che contribuisce anche alla pessima qualità dell’aria.

Questa combinazione di fattori rende la Pianura Padana uno dei territori più inquinati d’Europa, con livelli di polveri sottili (PM10 e PM2.5) che superano costantemente i limiti raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Ogni anno, migliaia di persone muoiono prematuramente a causa di malattie respiratorie e cardiovascolari legate all’inquinamento atmosferico.

L’ironia del progresso: l’idropolitana e le sue contraddizioni

L’idropolitana di Torino rappresenta un passo avanti significativo per affrontare le conseguenze immediate del cambiamento climatico, come le piogge torrenziali e gli allagamenti urbani.

Si tratta di un’infrastruttura cruciale per proteggere la città da eventi meteorologici estremi, ma è anche un simbolo di un problema più ampio.

Se da un lato investiamo miliardi in opere per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, dall’altro continuiamo a sostenere modelli produttivi e industriali che ne sono la causa principale.

Gli allevamenti intensivi, che producono metano in quantità massicce, sono un esempio lampante di questa contraddizione.

Il metano, un gas serra con un impatto 28 volte superiore a quello della CO2, è una delle principali minacce per il nostro clima.

Nonostante ciò, le politiche attuali non riescono a limitare l’espansione di questi sistemi intensivi, che consumano risorse preziose come l’acqua e contaminano il suolo e le falde acquifere.

Un’opportunità per Torino e il Piemonte

Torino si trova a un bivio. Da un lato, deve affrontare emergenze climatiche sempre più frequenti; dall’altro, ha l’opportunità di guidare un cambiamento radicale verso la sostenibilità.

Ridurre le emissioni di gas serra non è solo un imperativo morale, ma anche una necessità per garantire la sicurezza e la salute dei cittadini.

Investire in tecnologie verdi, ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e promuovere modelli di agricoltura sostenibile sono azioni indispensabili per trasformare Torino in un modello di resilienza climatica.

Secondo uno studio del Politecnico di Milano, una riduzione significativa degli allevamenti intensivi nella Pianura Padana potrebbe abbattere le emissioni di ammoniaca e polveri sottili, migliorando la qualità dell’aria e limitando i danni al clima.

Un appello al cambiamento

Non possiamo più permetterci di rimandare le scelte difficili. Le infrastrutture come l’idropolitana sono essenziali per affrontare le sfide immediate, ma da sole non bastano.

Serve una visione di lungo termine che affronti le cause profonde del cambiamento climatico.

Torino ha l’opportunità di diventare un esempio per l’Italia e per l’Europa, ma questo richiede CORAGGIO POLITICO e impegno da parte di tutti.

Ridurre gli allevamenti intensivi, investire nelle energie rinnovabili e promuovere città più verdi sono i primi passi verso un futuro sostenibile.

La domanda che dobbiamo porci è: siamo pronti a fare queste scelte coraggiose?

Il tempo per agire è ora. Il cambiamento climatico non farà sconti, ma Torino può dimostrare che un futuro diverso è possibile. Siamo pronti a raccogliere questa sfida?

Il futuro: un modello di sostenibilità

Ora immaginate un futuro in cui Torino e la Pianura Padana non sono più tra le aree più inquinate d’Europa.

Nel 2040, potremmo vivere in una città in cui le idropolitane non sono più necessarie, non perché le piogge siano cessate, ma perché i cambiamenti climatici sono stati affrontati con politiche lungimiranti e sostenibili.

Gli allevamenti intensivi, che oggi rappresentano una delle principali fonti di emissioni di gas serra, potrebbero essere ridotti e sostituiti da modelli di agricoltura biologica e sostenibile, che rispettano l’ambiente e utilizzano le risorse in modo più efficiente.

Le tecnologie verdi, come l’energia solare e le fonti rinnovabili, potrebbero alimentare i trasporti e le industrie, riducendo drasticamente la nostra dipendenza dai combustibili fossili. I parchi cittadini, pieni di alberi e spazi verdi, potrebbero purificare l’aria e offrire rifugio dalla calura estiva.

Questo futuro non è utopico. Ci sono già esempi concreti di città che stanno lavorando per diventare più sostenibili.

Copenaghen, per esempio, si è posta l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2025, riducendo le emissioni di CO2 attraverso un mix di energie rinnovabili, miglioramento dell’efficienza energetica e la promozione dei trasporti sostenibili.

Se Torino vuole essere un modello di sostenibilità, deve prendere esempio da queste città e investire seriamente in soluzioni a lungo termine.

Il futuro parte da oggi: una responsabilità condivisa tra politici e cittadini

Il cambiamento non può più aspettare. La città metropolitana di Torino ha la straordinaria opportunità di diventare un modello di sostenibilità per l’Italia, ma per farlo è necessario agire con urgenza e determinazione.

È il momento di eleggere amministratori e politici che si assumano la responsabilità di scelte coraggiose e lungimiranti, ponendo al centro delle loro agende l’idea di una città sostenibile.

Servono figure politiche che si dedichino in modo prioritario alle politiche ambientali, alla riduzione delle emissioni di gas serra e alla promozione di modelli produttivi che rispettino tanto la natura quanto le persone e gli animali.

Le soluzioni sono già disponibili, ma richiedono un impegno concreto e continuo.

Ridurre gli allevamenti intensivi, investire nelle energie rinnovabili e incentivare la creazione di città più verdi e resilienti non sono più opzioni, ma passi obbligati per costruire un futuro che garantisca condizioni di vita migliori per tutti gli esseri viventi.

L’idropolitana rappresenta un primo tassello, ma non può essere l’unica risposta.

Torino deve guidare questa transizione verso un modello di città che non solo affronta le sfide climatiche, ma che diventa un esempio di come la sostenibilità possa essere il motore di un progresso etico e sociale.

La responsabilità, però, non è solo nelle mani della politica.

Ogni cittadino può contribuire a questo cambiamento attraverso scelte quotidiane più etiche e sostenibili: adottare abitudini rispettose dell’ambiente, ridurre il proprio impatto ecologico e, soprattutto, esercitare un voto consapevole.

Le prossime elezioni non saranno solo un’occasione per scegliere i rappresentanti, ma un’opportunità per definire il futuro di Torino e del nostro pianeta.

È fondamentale scegliere chi davvero può e vuole dare un contributo concreto al miglioramento della qualità della vita di tutti, umani e animali.

Il futuro di Torino non dipende solo dalle infrastrutture o dai piani di emergenza: dipende dalle persone, dalle loro scelte e dalla volontà di guardare oltre il breve termine.

Insomma, dipende da noi! Siamo pronti a costruire un futuro migliore per i nostri figli? Siamo pronti a sostenere una visione di città sostenibile, inclusiva e rispettosa della vita?

La risposta sta nelle nostre mani, nelle nostre azioni quotidiane e nelle schede elettorali che compileremo.

Il cambiamento parte oggi: che cosa sceglieremo per il domani?

– Aggiornamenti –

Al via gli scavi dell’idropolitana di Torino. I lavori dureranno 4 anni.

Il progetto dell’idropolitana di Torino compie un passo cruciale con l’entrata in funzione di Gaia, la talpa meccanica incaricata di scavare i tunnel della “metropolitana delle acque“.

L’opera, oltre Torino, servirà altri venti Comuni metropolitani della zona sud ed ovest della città: Moncalieri, Pessione, Bruino, Cambiano, Poirino, Candiolo, Chieri, La Loggia, Nichelino, Orbassano, Beinasco, Piobesi, Santena, Piossasco, Riva di Chieri, Rivalta di Torino, Sangano, Trana, Trofarello, Villastellone e Vinovo.

La talpa avanzerà in media di trenta metri al giorno e i cui lavori dureranno 4 anni.

I tunnel collegheranno strategicamente i principali punti della città, offrendo una rete di trasporto idrico sotterraneo per una gestione più efficiente delle risorse idriche e una maggiore protezione contro le conseguenze del cambiamento climatico.

Le caratteristiche principali del progetto

L’opera è stata progettata per rispondere in modo innovativo ai problemi di siccità e approvvigionamento idrico. Tra le principali caratteristiche del progetto:

  • Gestione intelligente delle risorse idriche: il sistema permetterà di convogliare acqua potabile, riducendo gli sprechi e migliorando la distribuzione in città.
  • Adattamento al cambiamento climatico: con una struttura pensata per affrontare eventi estremi come siccità o alluvioni.
  • Collegamenti strategici: con infrastrutture chiave per garantire una distribuzione ottimale delle risorse idriche.

Un progetto necessario, ma non sufficiente

L’idropolitana rappresenta un passo importante per affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico, ma non può essere considerata una soluzione definitiva.

Torino, una delle prime città in Italia a implementare un’infrastruttura idrica così avanzata, deve affiancare a questa opera interventi concreti per ridurre l’impatto umano sull’ambiente.

Secondo il rapporto del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), il Piemonte potrebbe subire una riduzione delle risorse idriche fino al 30% entro il 2050.

Anche se l’idropolitana mira a mitigare i rischi di siccità e a garantire una distribuzione più efficiente delle risorse idriche, è indispensabile intervenire anche sulle cause principali del problema: l’inquinamento atmosferico, l’urbanizzazione incontrollata e le emissioni di gas serra.

La Pianura Padana è tra le aree più inquinate d’Europa, e il cambiamento climatico è amplificato dalle attività umane che aumentano la pressione sul territorio.

È necessario che Torino e le amministrazioni locali adottino politiche ambientali più ambiziose, mirate non solo alla gestione delle conseguenze, ma anche alla prevenzione.

La riduzione delle emissioni, la promozione di modelli di sviluppo sostenibile e una maggiore attenzione al consumo del suolo sono passaggi fondamentali per un futuro più resiliente.

L’idropolitana è un tassello importante, ma senza un cambio di paradigma nelle politiche ambientali, sarà solo una risposta parziale a un problema complesso che richiede un approccio integrato e lungimirante.

Rimani aggiornato su Elezioni Torino per scoprire come questa infrastruttura cambierà il volto della città e quali misure complementari saranno adottate per costruire un futuro più resiliente per Torino e i suoi cittadini.

#ElezioniTorino #Idropolitana

Povertà in città! Luca e Pepe, soluzioni sterili e tre proposte dal partito animalista di Torino.

Vogliamo raccontarvi una storia, la storia di Luca e il suo cagnolino Pepe. Luca vive in uno dei quartieri più difficili di Torino, uno dei quartieri più colpiti dalla povertà. Luca ha 32 anni, un’età in cui dovrebbe essere nel pieno delle forze e delle opportunità, ma la sua realtà è ben diversa.

Luca ha perso il lavoro durante la pandemia e, da allora, non è riuscito a trovare un’occupazione stabile. Attualmente lavora part-time in un supermercato, ma il suo stipendio non basta per vivere dignitosamente.

Ogni mese è una lotta per pagare l’affitto, le bollette e per acquistare CIBO che non sia la solita “SPAZZATURA” in offerta che gli distrugge lo stomaco.

Con Pepe, il suo fedele cagnolino e amico, condivide un piccolo appartamento fatiscente in una palazzina malconcia. Le muffe sui muri e la scarsa ventilazione rendono l’AMBIENTE INSALUBRE, una vera e propria DIVISIONE DI CLASSE abitativa tra ricchi e poveri.

Luca è una persona orgogliosa, ma la sua situazione lo costringe a rivolgersi alla Caritas per un pasto caldo. Ogni giorno Pepe lo accompagna ovunque, il suo unico conforto in un mare di difficoltà.

Immaginate un piccolo cagnolino meticcio, con un pelo soffice e bianco punteggiato da macchie marroni e nere. Pepe ha occhi grandi e marroni, che brillano di dolcezza e intelligenza.

Il suo musetto, sempre curioso, si muove costantemente alla ricerca di nuove avventure, ma è anche capace di trasmettere una calma rassicurante nei momenti di difficoltà.

Pepe non è solo un cane per Luca, è un amico leale e un compagno di vita insostituibile. Quando Luca torna a casa, Pepe lo accoglie con una gioia incontenibile, saltellando sulle zampe posteriori e agitando la coda con un’energia che sembra inesauribile.

La sua presenza riempie la casa di un amore incondizionato, un sentimento che riesce a lenire anche le giornate più dure.

Durante le passeggiate nel quartiere, Pepe cammina fiero accanto a Luca, osservando attentamente ogni cosa, come se volesse proteggere il suo padrone da qualsiasi minaccia.

Nei momenti di sconforto, Pepe si accoccola accanto a Luca, appoggiando delicatamente la testa sulle sue gambe, quasi a dire: “Non preoccuparti, sono qui con te“. Il loro legame è così forte che sembra che riescano a capirsi senza bisogno di parole.

In una vita segnata da difficoltà e incertezze, Pepe rappresenta per Luca una fonte costante di gioia e speranza. Ma la speranza, spesso si scontra con la dura realtà.

Luca si trova a fare scelte difficili: ci sono dei giorni, alla fine del mese, dove deve decidere se nutrire se stesso o Pepe. L’amore per il suo cagnolino è così grande che alle volte rinuncia ad uno dei suoi due pasti giornalieri per assicurarsi che Pepe non soffra la fame.

Questa situazione di precarietà ha portato Luca a compiere piccoli atti di illegalità per sopravvivere, come rubare cibo per Pepe, o ancora, evitare il pagamento dell’affitto per qualche mese.

Azioni disperate dettate dalla necessità, sicuramento non dall’intenzione di fare del male. La sua storia è quella di tanti altri che, per colpa delle circostanze, si trovano a dover scegliere tra la legalità e la sopravvivenza.

Ogni sera, Luca si siede sul divano logoro del suo appartamento e guarda Pepe addormentarsi ai suoi piedi. È in quei momenti che sente il peso della sua situazione.

Si chiede come sia possibile che, in una città come Torino, ci siano ancora persone ed animali costretti a vivere in queste condizioni. La risposta è semplice: la poca attenzione delle istituzioni e una società che spesso non sa o che gira lo sguardo altrove.

Un bollettino da brividi

Cari concittadini, viviamo in tempi difficili, Luca e Pepe lo sanno bene e i dati lo confermano in modo inequivocabile.

Il rapporto Caritas su Torino del 2023 https://www.caritas.torino.it/nstrb/rbstr/report_2023.pdf ci racconta di altre storie di sofferenza, di povertà assoluta e di disperazione crescente.

Ecco i NUMERI che NON possiamo IGNORARE:

  • 27.000 persone a Torino vivono in condizioni di povertà assoluta;
  • il 25% di chi chiede aiuto ha perso il reddito di cittadinanza;
  • il 27% degli assistiti della Caritas sono persone con un lavoro, ma con uno stipendio insufficiente;
  • l’11% in più di persone in povertà rispetto all’anno precedente, con il 53% dei casi al primo accesso;
  • il 47% delle persone assistite nel 2023 erano già conosciute dalla Caritas, con il 65% di questi nuclei in carico da almeno 3 anni;
  • la Caritas ha distribuito 220.000 pasti, 17.000 pacchi alimentari e 12.000 “spese” nel 2023.

Questi numeri parlano di una trappola della disperazione dalla quale è sempre più difficile sfuggire.

Soluzioni sterili

Di fronte a una crisi sociale ed economica di questa portata, le risposte politiche a livello nazionale e locale sono state, purtroppo, scarse e inefficaci.

I contratti collettivi continuano a essere bloccati senza rinnovo, i prezzi dei beni di prima necessità crescono vertiginosamente, e il governo ha scelto di cancellare il reddito di cittadinanza senza offrire valide alternative, come l’introduzione di un salario minimo legale. Questo ha colpito duramente le fasce più deboli della popolazione.

L’abolizione del Reddito di Cittadinanza, nello specifico, ha lasciato milioni di famiglie italiane senza alcuna forma di supporto economico.

Secondo i dati ufficiali, erano oltre 1,2 milioni i nuclei familiari che beneficiavano del Reddito di Cittadinanza nel 2023, molti dei quali composti da persone in difficoltà economica, disoccupati e lavoratori poveri.

La rimozione di questa misura, senza un sostegno alternativo, ha generato una nuova ondata di povertà assoluta, aggravando ulteriormente una crisi già profonda .

Queste politiche governative mancano di un approccio strutturale al problema. L’introduzione di un salario minimo potrebbe garantire che ogni lavoratore percepisca un reddito sufficiente per condurre una vita dignitosa.

Ventidue dei 27 Stati membri dell’Unione europea hanno un salario minimo nazionale. Danimarca, Italia, Austria, Finlandia e Svezia invece non ne hanno.

Chi ha introdotto questa misura ha ottenuto significativi miglioramenti nella qualità della vita per i lavoratori a basso reddito . In Italia, nel frattempo, mentre si decide di non fare nulla, il costo della vita continua a salire e gli stipendi sono fermi da anni.

Le risposte locali: interventi temporanei e insufficienti

A livello locale, si sono fatti dei tentativi per arginare il problema, ma si tratta per lo più di “toppe” temporanee.

Il Fondo Povertà istituito dal Comune di Torino, ad esempio, è stato un segnale positivo, ma i fondi disponibili non sono sufficienti per coprire le crescenti necessità di una popolazione sempre più impoverita.

I dati della Caritas mostrano come la domanda di aiuti alimentari e di sostegno economico sia in continuo aumento, con un incremento dell’11% di richieste rispetto all’anno precedente, ma le risorse stanziate non sono proporzionate all’entità del problema .

Un altro intervento locale è stato il progetto Torino Solidale, nato durante la pandemia per fornire supporto alimentare e sociale alle famiglie in difficoltà.

Inizialmente, questa iniziativa ha mostrato segni di successo, distribuendo pacchi alimentari e pasti caldi a migliaia di persone.

Tuttavia, come evidenziato da diversi studi e dalle stesse associazioni di volontariato, Torino Solidale è stato un palliativo temporaneo, incapace di affrontare le cause strutturali della povertà.

Con la fine dell’emergenza sanitaria, la continuità di queste iniziative è venuta meno, mentre la povertà è rimasta un problema centrale.

Anche le periferie della città, dove Luca e Pepe vivono, soffrono di una cronica mancanza di investimenti in infrastrutture sociali e ambientali.

Le case popolari sono spesso in condizioni di degrado e i quartieri periferici sono quelli più colpiti dall’apartheid alimentare e dall’inquinamento ambientale.

Le risposte politiche non sono state sufficienti per migliorare realmente la qualità della vita dei cittadini interessati.

La mancanza di un approccio strutturale

Le soluzioni proposte finora, sia a livello locale che nazionale, mancano di una visione a lungo termine. La cancellazione del Reddito di Cittadinanza è solo uno dei tanti segnali di una politica che non riesce a comprendere appieno la gravità della situazione.

La povertà non è un fenomeno temporaneo, ma un problema strutturale che richiede interventi altrettanto strutturali.

I tentativi di affrontare la povertà in modo frammentario non solo non risolvono il problema, ma rischiano di creare maggiore dipendenza da interventi di assistenza.

Le persone come Luca e Pepe hanno bisogno di politiche che promuovano inclusione sociale, lavoro dignitoso, accesso a cibo sano e un ambiente salubre. Le soluzioni devono andare oltre il semplice tamponare le emergenze.

Per risolvere davvero questa crisi, è necessario che le politiche economiche, sociali ed ambientali si basino su una visione integrata, che affronti simultaneamente la povertà, le disuguaglianze e l’emergenza ambientale.

Il semplice sostegno economico non è sufficiente; dobbiamo pensare a un sistema di welfare che garantisca a tutti l’accesso a un lavoro dignitoso, un’abitazione decente e risorse fondamentali per vivere, come il cibo e l’aria pulita .

Le soluzioni attuali sono sterili perché non vanno alla radice del problema. Senza un cambiamento radicale nelle politiche sociali ed economiche, continueremo a vedere un aumento della povertà e della disuguaglianza.

Le risposte finora fornite sono insufficienti e lo sappiamo tutti: lo vediamo ogni giorno nelle nostre città, lo leggiamo nei report di istituzioni come la Caritas e lo sperimentiamo nelle difficoltà quotidiane.

Serve un approccio nuovo, coraggioso, che non si limiti a fornire assistenza temporanea ma che lavori per creare una società più equa e giusta. Le politiche devono offrire sostegno a chi ne ha più bisogno e investire nelle risorse necessarie per garantire dignità a ogni cittadino.

La Teoria degli Ultimi

La storia di Luca e Pepe è un esempio concreto di quello che chiamiamo Teoria degli Ultimi.

Questa teoria rappresenta una visione che intreccia principi socialisti, ecologisti ed animalisti, mettendo al centro gli elementi più vulnerabili della nostra società: le persone in condizioni di precarietà economica, l’ambiente e gli animali.

La Teoria degli Ultimi non è solo una riflessione filosofica, ma una guida pratica e politica che ci spinge a compiere scelte coraggiose e radicali per garantire una giustizia sociale, economica e ambientale.

Negli ultimi decenni, abbiamo assistito a un aumento delle disuguaglianze, dove chi ha accesso alle risorse diventa sempre più ricco, mentre chi è ai margini viene lasciato indietro.

La Teoria degli Ultimi si propone di ribaltare questa dinamica, mettendo i più vulnerabili al centro delle politiche pubbliche, umani e non umani.

Dobbiamo agire per combattere l’ingiustizia sociale, l’apartheid alimentare e la crisi ambientale che colpisce in maniera sproporzionata chi è già in difficoltà.

Giustizia sociale ed economica

Il primo pilastro della Teoria degli Ultimi è la giustizia sociale ed economica. In Italia, , secondo l’ISTAT, oltre 5,6 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta. La pandemia ha ulteriormente aggravato questa situazione, colpendo duramente le periferie delle grandi città come Torino.

La realtà in cui vive Luca è il riflesso di una società che ha smesso di occuparsi delle fasce più deboli, creando una profonda disuguaglianza. Non possiamo più permettere che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B.

Combattere le disuguaglianze significa garantire a tutti l’accesso a beni e servizi essenziali: cibo sano, aria pulita, istruzione di qualità e assistenza sanitaria.

La povertà è una condizione che intrappola le persone in un circolo vizioso, dove mancano le risorse per migliorare la propria situazione.

Il salario minimo, per esempio, è una misura che ancora manca in Italia, nonostante le evidenze dimostrino che potrebbe alleviare le difficoltà economiche di milioni di persone. In un mondo giusto, nessuno dovrebbe essere costretto a scegliere tra pagare l’affitto o mangiare.

Sostenibilità ambientale

Il secondo pilastro della Teoria degli Ultimi è la sostenibilità ambientale. Viviamo in un sistema che sfrutta le risorse naturali senza riguardo per le conseguenze a lungo termine.

Secondo l’ONU, i cambiamenti climatici stanno già avendo un impatto devastante sulle comunità più vulnerabili . Chi vive nelle periferie urbane, come Luca, è costretto a convivere con i peggiori effetti dell’inquinamento: aria inquinata, carenza di spazi verdi e degrado degli edifici.

La Pianura Padana, dove si trova Torino, è una delle aree più inquinate d’Europa, con livelli pericolosi di polveri sottili (PM10 e PM2.5) .

Questi inquinanti non solo peggiorano la qualità dell’aria, ma contribuiscono anche a malattie respiratorie e cardiovascolari, colpendo maggiormente le persone già in difficoltà economica.

La sostenibilità ambientale non è solo una questione ecologica, ma una questione di giustizia sociale. Dobbiamo proteggere l’ambiente per proteggere chi è più vulnerabile.

Gli effetti devastanti del cambiamento climatico e dell’inquinamento ricadono principalmente su chi ha meno mezzi per difendersi.

Politiche urbane verdi, come la creazione di un numero sempre maggiori di polmoni cittadini, la promozione di energie rinnovabili, la limitazione del traffico veicolare e la mobilità sostenibile, devono essere priorità assolute per migliorare la qualità della vita nelle nostre città

Lotta all’apartheid alimentare

Un altro aspetto cruciale della Teoria degli Ultimi è la lotta contro l’apartheid alimentare. Questo concetto si riferisce alla disuguaglianza nell’accesso al cibo sano e nutriente, che colpisce soprattutto le fasce più povere della popolazione.

Secondo la FAO, circa 820 milioni di persone nel mondo soffrono la fame, mentre molte altre, pur non essendo affamate, hanno accesso solo a cibo di bassa qualità e dannoso per la salute.

Luca è un esempio perfetto di questa situazione. Nonostante lavori, il suo stipendio non gli permette di acquistare cibo sano e di buona qualità.

Deve accontentarsi di quello che trova in offerta al supermercato (spesso alimenti ultra-processati e ricchi di zuccheri e grassi) o di una cena veloce al fast-food.

Questo tipo di alimentazione, nei prossimi anni, potrebbe creargli dei problemi di salute non indifferente. Questo fenomeno è noto come “apartheid alimentare” e rappresenta una delle sfide più urgenti della nostra epoca.

La soluzione a questo problema deve passare attraverso una riforma del sistema alimentare.

È necessario promuovere l’agricoltura locale e biologica, ridurre la dipendenza dalle multinazionali che producono cibo di scarsa qualità e garantire che tutti abbiano accesso a prodotti sani e sostenibili, indipendentemente dal reddito .

Iniziative come mercati contadini e cooperative alimentari locali possono fare una grande differenza, migliorando la qualità dell’alimentazione nelle comunità più povere.

LE TRE PROPOSTE DEL PARTITO ANIMALISTA DI TORINO

PRIMA GLI ULTIMI. Ecco tre proposte del PAI di Torino, REALI, per affrontare i problemi di cui abbiamo parlato:

1. Reddito di cittadinanza comunale
Sperimentazione di un reddito di cittadinanza comunale per le persone in condizioni di povertà assoluta certificata rappresenta una soluzione concreta per affrontare la povertà nelle grandi città come Torino. Città europee come Barcellona o Utrecht hanno già sperimentato con successo un reddito di base universale garantito per le persone più svantaggiate, riducendo significativamente il tasso di povertà.

2. Super assessorato alle politiche sociali e ambientali
Un secondo passo è la creazione di un assessorato dedicato esclusivamente alle politiche sociali e ambientali. Quest’ultimo avrà il compito di gestire la sperimentazione del reddito di cittadinanza comunale e coordinare tutte le iniziative di supporto per chi si trova in condizioni di disagio economico e sociale.

Il super assessorato si occuperà di coordinare tutte le iniziative di assistenza alle persone in difficoltà, attraverso sportelli dedicati per l’accesso a servizi di base come cibo sano, alloggio, assistenza sanitaria e inserimento lavorativo.

La squadra del super assessore nominato sarà responsabile anche di monitorare l’efficacia delle politiche implementate e di proporre ulteriori interventi per perfezionare il sistema di sostegno e supporto ai più deboli della società. Creare un programma di assistenza dedicato ai poveri assoluti censiti della città di Torino che includa:

  1.  supporto psicologico;
  2. servizi di inserimento lavorativo;
  3.  accesso facilitato ai servizi sanitari;

Questo super assessorato dovrà sviluppare politiche mirate per combattere la povertà, migliorare l’accesso ai servizi sanitari e garantire un ambiente più salubre per tutti. Una struttura centralizzata e specificamente rivolta ai poveri assoluti rappresenterebbe un ampliamento dell’approccio attuale.

3. Politiche attive contro l’apartheid alimentare e il degrado abitativo
È urgente implementare politiche attive per garantire il diritto a una casa dignitosa e l’accesso a cibo sano per tutti. Questo significa non solo costruire nuovi alloggi sociali, ma anche riqualificare quelli esistenti con criteri di sostenibilità ambientale.

Torino potrebbe diventare un modello per altre città, promuovendo la creazione di mercati contadini, cooperative alimentari locali e programmi di educazione alimentare che consentano alle famiglie a basso reddito di acquistare cibo di qualità. Da promuovere subito:

  1. sovvenzioni per le famiglie a basso reddito per l’acquisto di cibo sano;
  2. prevedere la costruzione o la riqualificazione di alloggi sociali con criteri di sostenibilità ambientale;
  3. adottare misure sistemiche per ridurre l’inquinamento nelle aree più colpite della città.

Per leggere tutto il programma del Partito Animalista di Torino, clicca qui!

Non possiamo più permettere che la povertà dilaghi e diventi strutturale. Non possiamo più voltare le spalle agli ultimi. È ora di agire, di mettere in campo SOLUZIONI CONCRETE e di farlo subito.

La politica deve essere al servizio dei cittadini e voi avete il potere di cambiare le cose con il VOSTRO VOTO e la vostra militanza politica. LO DOVETE A VOI STESSI, A LUCA, A PEPE!

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